"L'arte rende tangibile la materia di cui sono fatti i sogni"

La rivoluzione caravaggesca

Michelangelo Merisi detto Caravaggio, artista sempre in fuga a causa delle proprie “disavventure” sociali, ma le cui opere sono spettacolari e innovative: lasciano senza fiato

Nonostante la sua breve vita (1571-1610), Caravaggio ci ha lasciato un grande patrimonio artistico. Roma fu la città in cui il suo successo iniziò a crescere, qui giunse probabilmente intorno al 1594 circa e fu notato dal cardinale Francesco Maria Del Monte, che lo prese sotto la propria protezione divenendo anche il suo mecenate.

Le sue opere sono spettacolari, egli riuscì con la sua tecnica pittorica ad imprimervi una forte espressività. Giovan Pietro Bellori, storico dell’arte del tempo, scrisse “Egli aspirava all’unica lode del colore, siche paresse vera l’incarnatione, la pelle, e l’sangue, e la superficie naturale”. Rendere i personaggi come reali attraverso un sapiente uso del colore era la sua aspirazione. I suoi dipinti propongono una grande novità: il vero in pittura.

Cresciuto e formatosi in ambiente lombardo, è proprio da qui che trae origine il suo stile unico. La pittura lombarda del tempo, infatti, si focalizzava su elementi semplici e sulla parte più umile del mondo, scegliendo dal quotidiano gli oggetti da dipingere. Caravaggio generalmente ambientava la scena in luoghi popolani e modesti, quasi sempre pervasi dall’oscurità. Bellori scrisse: “Il Caravaggio, […] facevasi ogni giorno più noto per lo colorito ch’egli andava introducendo, […] servendosi assai del nero per dare rilievo alli corpi. Egli non faceva mai uscire all’aperto del Sole alcuna delle sue figure, ma trovò una maniera di campirle entro l’aria bruna d’una camera rinchiusa, pigliando un lume alto, che scendeva a piombo sopra la parte principale del corpo, e lasciando il rimanente in ombra”. Il grande Michelangelo Merisi si serviva dell’oscurità per mettere in luce i personaggi dipinti nei propri capolavori, rendendoli i protagonisti della scena. Questa sua tecnica portò numerosi pittori a Roma, accorsi lì per ammirare “l’unico imitatore della natura” e per “attendere a studio e insegnamenti”.                                                  

Umiltà caratterizza anche i soggetti ritratti: in molti casi essi indossano vesti tipiche dell’epoca o addirittura sono personaggi reali.                        

Esemplare, in tal senso, è la Maddalena Penitente, che egli realizzò probabilmente intorno al 1595 e che oggi si può ammirare presso la Galleria Doria Pamphili a Roma. Questa, fu una delle prime opere che sconvolse gli storici dell’arte del tempo poiché mai, prima di allora, un soggetto sacro era stato raffigurato in pittura come se si trattasse di una comune popolana. Bellori scrisse: “Michele dipinse una fanciulla a sedere sopra una seggiola con le mani in seno, in atto di asciugarsi i capelli, la ritrasse in una camera, ed aggiungendovi in terra un vasello d’unguenti, con monili e gemme, la finse per Maddalena”. La donna, dunque, è identificabile come la Maddalena semplicemente dalla boccetta di unguento e dai gioielli presenti al suo fianco, i quali sono un chiaro rimando al rifiuto del peccato da parte della donna proprio perché in atto di penitenza. Oltretutto, la giovane oltre a vestire abiti contemporanei, è ritratta in un luogo umile e spoglio che non viene per nulla nascosto. Caravaggio trasforma la comune ritrattistica in un’opera sacra.

Un’opera che provocò scandalo fu la Morte della Vergine, realizzata intorno al 1605 ed esposta oggi al Louvre. Il dipinto doveva essere una pala d’altare per la chiesa di Santa Maria della Scala in Trastevere, ma fu contestata e rifiutata dal clero perché raffigurante una morte “troppo reale”, priva di angeli e di assunzione in cielo. Giovanni Baglione, pittore e storico dell’arte coevo, così motivò il rifiuto: “Perché havea fatto con poco decoro la Madonna gonfia, e con gambe scoperte, fu levata via”. Molte furono le critiche rivolte a tale capolavoro “senza decoro e invenzione”. Il corpo della Vergine sembrava quello di una semplice popolana, gonfio e con abiti inadeguati; il grande storico dell’arte Roberto Longhi la definì “la morte di una popolana del rione”. Quale fedele avrebbe mai potuto pensare che si trattasse della Vergine e tributargli l’accensione di una candela? Un altro scrittore contemporaneo ha persino ipotizzato che Caravaggio abbia “imitato una donna morta gonfia”, secondo alcune letture addirittura una prostituta. Il dipinto non riscosse molto successo all’interno della cerchia religiosa per l’eccessiva aderenza al reale della raffigurazione, riscosse però ampio successo tra gli artisti che compresero subito il suo valore innovativo e rivoluzionario. L’opera fu molto apprezzata da Pieter Paul Rubens, pittore fiammingo da poco giunto in Italia e alle dipendenze del Duca di Mantova, il quale immediatamente si convinse ad acquistare la pala rifiutata.

Capolavori di espressività caravaggesca sono i due dipinti raffiguranti Giuditta e Oloferne (realizzato probabilmente intorno al 1599 circa e oggi a Palazzo Barberini) e lo Scudo con Testa di Medusa (del 1598 circa e oggi presso la Galleria degli Uffizi). La Giuditta di Palazzo Barberini è una giovane donna ebrea raffigurata nel culmine dell’azione, bloccata in un solo istante per l’eternità, intenta a tagliare, con una scimitarra, la testa al nemico per salvare l’indipendenza del proprio popolo. Il generale assiro Oloferne, con il suo esercito, aveva posto sotto assedio la città ebrea di Betulia, motivo per cui Giuditta escogitò un piano: sedurre Oloferne e farlo ubriacare per poi ucciderlo. L’espressione di orrore sul viso della giovane, lo sguardo quasi privo di vita di Oloferne, il sangue che gli sgorga dalla gola, il suo urlo di dolore misto a terrore: tutto ciò contribuisce a rendere ancor più reale l’immagine. È evidente come Caravaggio abbia evidenziato il dolore della vittima mettendo in risalto la muscolatura in tensione attraverso l’alternanza di luci e ombre, alternanza di cui si è servito anche per mettere in risalto “gli attori” della scena.

Lo stesso urlo di dolore è nello Scudo con Testa di Medusa che il Cardinale Francesco Maria Del Monte commissionò a Caravaggio per poterlo donare al gran Duca di Toscana Ferdinando I de’Medici. Grazie alla sua maestria, il pittore è riuscito a dare particolare risalto ai serpenti sulla testa della gorgone, che si intrecciano tra di loro e paiono esser vivi. Lo sguardo vuoto, la bocca spalancata per l’urlo, il sangue sgorgante dalla testa recisa: tutto acuisce la drammaticità della scena.

Caravaggio oltre a lasciarci un inestimabile patrimonio artistico, con la sua straordinaria capacità di aderenza al vero, ha dato luogo ad una rivoluzione artistica che ha ispirato numerosi pittori provenienti da ogni dove. L’arte figurativa si stava trasformando.

                                                                                                                         Mary Bua

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