
La corte pontificia, che ha sede nello Stato Vaticano, è oggi uno dei più grandi complessi architettonici che testimoniano secoli di storia ma non solo: è uno scrigno di tesori per studiosi, appassionati d’arte e visitatori
Gran parte di ciò che oggi ammiriamo in Vaticano, è stato commissionato a diversi artisti dai vari pontefici che si sono succeduti nel tempo. Ogni papa voleva distinguersi dai predecessori commissionando opere che avrebbero reso la corte pontificia ancor più magnificente, in nome della grandezza e del potere della Chiesa Cattolica.
Dal XV al XVII sec., in particolare, il Vaticano ha vissuto il suo periodo “d’oro” in campo artistico; durante questi secoli, infatti, alcuni pontefici si sono distinti oltremodo: Sisto IV della Rovere, Giulio II della Rovere, Urbano VIII Barberini e Alessandro VII Chigi.
La Cappella Sistina, ad esempio, è opera di papa Sisto IV della Rovere, che la fece realizzare tra il 1477 e il 1481, e proprio a lui deve il suo nome. Il pontefice diede l’incarico di ristrutturare l’antica Cappella Magna all’architetto Giovannino de’ Dolci, che affidò l’esecuzione dei lavori, sotto la sua direzione, a Baccio Pontelli, mentre agli affreschi lavorarono i maggiori pittori dell’epoca: Pietro Perugino, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio e Cosimo Rosselli, che dipinsero le storie della vita di Mosè su una parete, e quelle della vita di Cristo sulla parete di fronte, contrapponendo così scene dell’Antico e del Nuovo Testamento. Solo nel Cinquecento la cappella ha assunto l’aspetto che ha ancora oggi, quando Michelangelo, su commissione di papa Giulio II della Rovere, ne dipinse la volta tra il 1508 e il 1512, mentre su incarico di papa Clemente VII de’ Medici, tra il 1536 e il 1541, realizzò il Giudizio Universale, opera che suscitò molto scalpore per le «enormi licenze» che il pittore si era preso.

Stando alle parole di Giorgio Vasari, artista e storico dell’arte del tempo, Michelangelo ritenne sin da subito difficile l’impresa della volta, per via dell’ampia superficie da dipingere. Lo storico scrive infatti che «vennero da Fiorenza in Roma alcuni amici suoi pittori, perché a tal cosa gli porgessero aiuto; furono il Granaccio, Giulian Bugiardini, Iacopo di Sandro, l’Indaco vecchio, Agnolo di Donnino et Aristotile. E dato principio all’opera, fece loro cominciare alcune cose per saggio. Ma veduto le fatiche loro molto lontane dal desiderio suo e non sodisfacendogli, una mattina si risolse gettare a terra ogni cosa che avevano fatto; e rinchiusosi nella cappella, non volse mai aprir loro. […] E così del tutto condusse alla fine perfettamente da sé solo quell’opera, senza aiuto pure di chi gli macinassi i colori».

Gli affreschi della volta della Sistina mostrano le storie della Genesi, «da la Creazione del mondo fino al Diluvio, e nelle lunette tutta la Generazione di Gesù Cristo, […] con perfezzione di disegno che non si può né fare né s’è fatto mai opera». Vasari mette in evidenza «la bontà delle figure, la perfezzione degli scórci, la stupendissima rotondità d’i contorni, che hanno in sé grazia e sveltezza, con quella proporzione che nei belli ignudi si vede». Tutta Roma accorse a vedere l’opera «la mattina d’Ogni Santi, che ‘l Papa andò in cappella a cantare la messa, con satisfazione di tutta quella città».

Il pontificato di Giulio II, iniziato nel 1503, ha dato il via ad una fiorente produzione artistica; a lui si deve l’edificazione della nuova basilica che sostituì la vecchia costruzione a cinque navate voluta dall’Imperatore Costantino nel Trecento.
I progetti presentati furono molti, ma ad essere scelto fu quello ideato da Donato Bramante, pittore e architetto lombardo. La prima pietra fu posta nel 1506, ma alla morte di Bramante, nel 1514, il cantiere era ancora solo all’inizio; perciò, si rese necessario porre altri artisti a sovrintendere ai lavori della fabbrica. Questo, tuttavia, ha comportato la modifica del progetto originario da parte dei diversi artisti che si sono susseguiti, tra i quali Raffaello, Giuliano da Sangallo e Baldassarre Peruzzi. È solo nel 1547, con il progetto realizzato da Michelangelo, che l’edificio ha trovato la sua forma definitiva, quella che oggi possiamo ammirare.

A Giulio II si deve anche la realizzazione del Cortile del Belvedere, del Cortile delle Statue, e delle Stanze Vaticane, progetti ai quali lavorò Bramante, architetto di fiducia del pontefice.
Il Cortile delle Statue è situato nel complesso di edifici allora destinati a residenza pontificia, ed è altrimenti detto Cortile Ottagono per la sua forma ottagonale. Fu costruito per ospitare i più importanti gruppi scultorei di cui Giulio II era in possesso e che costituivano il primo nucleo delle collezioni pontificie: l’Apollo del Belvedere e il Laocoonte erano tra questi, e ancora oggi sono lì esposti.


Il Cortile del Belvedere, invece, fu progettato per creare un giardino che collegasse la residenza pontificia al Casino Del Belvedere, una villa voluta da papa Innocenzo VIII nel 1487 e dominante la collina del Vaticano. È proprio a questo edificio che il cortile deve il suo nome.

Papa Urbano VIII Barberini, eletto nel 1623, seppe distinguersi come Giulio II, morto nel 1513, e Gian Lorenzo Bernini fu il fidato artista al suo servizio.
Su commissione di Urbano VIII, Bernini realizzò dal 1629 il celebre Baldacchino, destinato ad essere posto all’interno della basilica in corrispondenza della tomba di San Pietro, dove si trova ancora oggi.

Quattro gigantesche colonne tortili in bronzo dorato si innalzano su altrettanti basamenti in marmo, e in cima a ciascuna colonna si ergono degli angeli. Nonostante le grandi dimensioni, che vedono l’imponente struttura svettare per 28,5 m di altezza, Bernini è riuscito a dare all’opera un senso di leggerezza assoluta, acuita dalla “leggiadra stoffa” dalla quale pendono le nappe. Le api che lo decorano sono un rimando alla famiglia committente, i Barberini; api, infatti, sono presenti nel loro stemma di famiglia. Cinque anni sono stati necessari alla conclusione dell’opera.


Non meno importante fu il progetto che prevedeva di ricavare quattro nicchie nei grandi piloni della basilica costruiti a sostegno della cupola. Bernini ricevette l’incarico di realizzare questi spazi per collocarvi quattro sacre reliquie: un frammento della vera croce, il velo della Veronica, il capo di Sant’Andrea, e la lancia di San Longino. Quattro gigantesche statue furono realizzate tra il 1627 e il 1639 ca. per essere collocate nelle nicchie che avrebbero ospitato le reliquie.

La statua di Santa Veronica, realizzata da Francesco Mochi, fu collocata nella nicchia che avrebbe accolto il velo. Secondo la tradizione si tratta del velo con cui Cristo si asciugò il viso nell’andata al Calvario e sul quale rimase impresso il suo volto; pare che il velo abbia preso il nome da colei che glielo porse.

La statua di Sant’Elena, invece, fu posizionata nella nicchia ospitante un frammento della vera croce, rinvenuto, secondo la leggenda, da Elena, la madre dell’imperatore Costantino. Questa scultura fu realizzata da Andrea Bolgi.

La scultura di Sant’Andrea, realizzata da Francois Duquesnoy, vede protagonista il santo martire morto in croce, ed è posta nella nicchia insieme alla reliquia del capo dello stesso santo.

In ultimo, San Longino accompagna la reliquia della lancia. Longino fu infatti il centurione romano che, secondo la narrazione, con la sua lancia trafisse il costato di Cristo in croce. Dopo aver sferrato il colpo, egli riconobbe il Messia e si convertì. Longino fu realizzato dallo stesso Bernini.
A papa Alessandro VII Chigi, invece, si devono la Cattedra di San Pietro, monumentale pala d’altare, e il celebre Colonnato, entrambi realizzati da Gian Lorenzo Bernini.

La Cattedra di San Pietro, a cui l’artista lavorò nell’arco di un decennio (1656 – 1666), non è in realtà solo una pala d’altare ma anche un reliquiario: racchiude un trono in legno e avorio di età carolingia (IX sec.), che tra il XII e il XIII sec. si iniziò a credere la sedia episcopale usata da San Pietro. Su un alto piedistallo ricoperto in marmi colorati sono poste le statue in bronzo dorato dei quattro Padri della Chiesa greca e latina, alte quasi sei metri; subito sopra è invece la cattedra, anch’essa in bronzo dorato, che sembra fluttuare tra delle nubi color oro. Il monumentale reliquiario, alto quasi quindici metri, si conclude con raggi di luce dorati accompagnati da santi e schiere angeliche, che circondano la colomba raffigurata nella vetrata e simboleggiante lo Spirito Santo. La basilica, attraverso questi raggi dorati, è simbolicamente inondata dalla luce e dalla gloria del Paradiso.

Il Colonnato, invece, è stato ideato dall’artista come prolungamento dell’edificio stesso; sembra voler costituire, come disse lo stesso Bernini, «le braccia della Chiesa» che accolgono e abbracciano i fedeli all’interno della piazza. Eretto tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Seicento, è stato realizzato con una rigorosa impostazione matematica: se ci si pone in un preciso punto della piazza, segnalato dall’architetto stesso, si può notare come le tre file di colonne, in profondità, appaiano allineate tra di loro, nascoste una dietro l’altra. Si tratta di un trucco ottico che lascia intendere il grande ingegno dell’artista. Numerose statue, che raffigurano santi, martiri e pontefici, si ergono invece sulla balaustra che sormonta le colonne, come a vegliare sulla piazza.


Il Vaticano, nel corso dei secoli, è stato come un teatro, che ha visto “esibirsi” i più grandi artisti del tempo, ed è grazie all’ambizione dei diversi pontefici che oggi è per noi uno scrigno di tesori storico-artistici.
Mary Bua


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